Honji suijaku

Il termine honji suijaku o honchi suijaku (本地垂迹?) nella terminologia religiosa giapponese fa riferimento a una teoria ampiamente accettata fino al periodo Meiji secondo cui le divinità buddiste indiane scelsero di apparire in Giappone come kami nativi per convertire e salvare più facilmente i giapponesi.[1][2] La teoria afferma che alcuni kami (ma non tutti) sono manifestazioni locali (del suijaku (垂迹?), lett. una "traccia") delle divinità Buddiste (i honji (本地?), lett., "terreno originale").[1][3] Le due entità formano un intero indivisibile chiamato gongen e in teoria dovrebbero avere uguale stato, ma ciò non è sempre vero.[4] Nel primo periodo di Nara, ad esempio, l'honji era considerato più importante e solo in seguito i due vennero considerati uguali.[4] Durante il tardo periodo Kamakura fu persino proposto che i kami fossero le divinità originarie e i buddha le loro manifestazioni (vedere la sezione Honji suijaku invertito sotto).[4]

La teoria non fu mai sistematizzata, ma nondimeno è divenuta molto pervasiva e influente.[1] È considerata la chiave di volta del shinbutsu-shūgō (armonizzazione delle divinità buddiste e kami giapponesi).[5] L'Honji suijaku è stato spesso visto come simile all'interpretatio Romana promossa nell'antichità da studiosi come Tacito, i quali sostenevano che le divinità "barbare" fossero solo le manifestazioni straniere delle divinità romane o greche.[6]

Il termine honji suijaku stesso è un esempio nella pratica giapponese del yojijukugo, una combinazione di quattro caratteri che possono essere letti in maniera letterale o simbolica.

  1. ^ a b c Bernhard Scheid
  2. ^ Breen and Teeuwen (2000:95)
  3. ^ Satō Masato (2007)
  4. ^ a b c Basic Terms of Shinto
  5. ^ Satō Makoto
  6. ^ Josephson, Jason Ānanda, The Invention of Religion in Japan (University of Chicago Press, 2012), 25-26

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